Museo Diocesano di Ostuni 4^ Sezione – La Pinacoteca

In questa sala sono esposti i dipinti provenienti dall’antica Cattedrale, dagli appartamenti privati dei Vescovi ostunesi, dalle Collezioni del Capitolo della Concattedrale e dai fondi artistici delle locali chiese e monasteri femminili. Si tratta di opere di ambito meridionale, e in alcuni casi strettamente locale, realizzate a partire dal Cinquecento, a cui data la tela col Sant’Andrea che presenta un canonico alla Vergine, che racchiude una tra le più antiche e suggestive vedute della città di Ostuni. I dipinti, per quanto alcuni di fattura modesta, sono documenti preziosi che aiutano a fare luce sulle speciali devozioni del clero e del popolo ostunese alla Santa Vergine e ai santi e sulle commissioni artistiche ecclesiastiche e nobiliari dei secoli passati.

Tra le opere di maggior rilievo sul piano storico-artistico si segnalano il San Girolamo penitente dinanzi a papa Sisto V, riferibile alla metà del Seicento, San Francesco ottiene l’indulgenza della Porziuncola, realizzato tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo, la monumentale pala con la Visione di san Filippo Neri, tratta direttamente dall’esemplare di Guido Reni (1575-1642) datato 1614-1615 e custodito nella chiesa romana di Santa Maria in Vallicella, la tela col San Gennaro davanti al Golfo di Napoli, che documenta l’eruzione del Vesuvio del 1779, e il Ritratto dell’Arcidiacono di Ostuni Pietro Aurisicchio, dipinto nel 1874 dal celebre pittore ostunese Luigi Oronzo Pappadà (1849-1949).

Precisa scelta curatoriale è quella di esporre insieme dipinti restaurati e non (comunque stabilizzati), allo scopo di sensibilizzare il visitatore, religioso e laico, della necessità di un’adeguata conservazione preventiva delle testimonianze storico-artistiche del nostro comune passato, nella prospettiva della loro trasmissione doverosa alle generazioni future, e, non in ultimo, di reperire i fondi per finanziare il loro restauro.

Visione di san Filippo Neri

Dalla Sacrestia della Concattedrale di Ostuni proviene questa tela raffigurante la Visione di san Filippo Neri, per la precisione l’apparizione della Madonna della Vallicella al santo. L’opera riproduce il dipinto di analogo soggetto realizzato dal pittore bolognese Guido Reni (1575-1642) nel 1614 per l’oratorio del santo nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma. Filippo Neri, con indosso tunica, amitto (stoffa che copre collo e spalle del sacerdote), pianeta e manipolo (visibile sul braccio sinistro), è inginocchiato in posa estatica dinanzi a un altare della chiesa romana, dove la Santa Vergine, venerata sotto il titolo di «Madonna Vallicelliana», gli appare all’improvviso, mentre è intento a celebrare la Santa Messa, con in grembo Gesù Bambino e attorniata dagli angeli. Il testo delle Sacre Scritture e i gigli bianchi sono posti accanto al santo. La «Madonna Vallicelliana» è un’icona miracolosa ad affresco realizzata nel Trecento e in seguito conservata nell’omonima chiesa, dove fu particolarmente venerata dal Neri. Rispetto all’originale, la copia ostunese, di destinazione devozionale privata, presenta dimensioni maggiori e forma arcuata nella parte superiore. Dell’opera del Reni si conoscono numerose copie.
A destra, il dipinto di Guido Reni con la Visione di san Filippo Neri da cui è stata tratta l’opera esposta.

San Marco Evangelista e angelo custode

I due dipinti, di uguali dimensioni e attribuibili alla medesima mano, provengono dalla chiesa di Maria Santissima Annunziata di Ostuni e testimoniano dei culti di matrice veneziana vivi all’interno della comunità, che comprendeva famiglie nobili e mercantili venete. La venerazione dell’Evangelista Marco a Venezia ha origini lontane, risalenti ai secoli VII-IX; con l’arrivo in città del suo corpo nell’828 (in realtà, si trattò di un vero e proprio trafugamento ad opera di marinai Veneziani) il santo venne prescelto come protettore principale e in suo onore venne eretta la Basilica di San Marco. Anche il culto dell’angelo custode è di vecchia tradizione, come dimostra l’esistenza di una Scuola ad esso intitolata in Campo Santi Apostoli, costruita nel 1713 nel sestiere di Cannaregio. Le due tele, di discreta qualità pittorica e stilistica, ritraggono i personaggi a mezzo busto: l’Evangelista è in atto di scrivere il suo Vangelo, nella mano destra infatti ha un libro aperto e nella sinistra una penna d’oca, mentre l’angelo accompagna amabilmente un bambino, a cui indica il cielo con la mano puntata in alto, a simboleggiare la volontà divina di proteggerlo.

Farsi un’idea – Glossario storico-artistico
Affresco: Tecnica di pittura murale che consiste nel dipingere su uno strato di intonaco fresco (calce spenta con sabbia e acqua), che asciugandosi incorpora i colori.
Attributo iconografico: Elemento caratteristico associato al soggetto rappresentato per essere subito riconoscibile (vedi Iconografia).
Attribuzione: Individuazione presunta dell’autore di una determinata opera d’arte o della scuola pittorica da cui esso proviene, in assenza di documenti storici (vedi Stile).
Commissione artistica: Incarico di realizzare una determinata opera d’arte per conto di un’istituzione o di una persona, pubblica o privata, religiosa o civile.
Composizione: L’insieme degli elementi figurativi che compongono l’opera d’arte nella sua unità.
Conservazione: Scienza che si occupa di garantire tutte le condizioni necessarie a mantenere inalterato lo stato di un’opera d’arte nel tempo, al fine di tramandarla ai posteri.
Copia: Riproduzione, più o meno fedele, di un’opera d’arte originale.
Effigiato: Chi è raffigurato nell’opera d’arte (vedi Posa, Ritratto).
Fattura: La qualità (ottima, buona, discreta, pessima) di un’opera d’arte.
Icona: Rappresentazione sacra dipinta su tavola, tipica dell’arte cristiana, o immagine particolarmente simbolica e carica di significato; il termine deriva dal greco «SIKWV», che significa ‘immagine’ (vedi Iconografia, Iconologia, Simbolo).
Iconografia: Scienza che si occupa di studiare e di descrivere ciò che raffigura un’opera d’arte (vedi Iconologia).
Iconologia: Scienza che si occupa di studiare il significato dell’opera d’arte, allo scopo di fornire un’interpretazione valida dell’immagine raffigurata; in funzione degli elementi presenti il significato può essere di facile o di difficile comprensione (vedi Iconografia).
Incisione: Tecnica di riproduzione meccanica (a stampa) di un’immagine.
Pinacoteca: Luogo che raccoglie ed espone dipinti.
Posa: Atteggiamento in cui ci si pone allo scopo di essere ritratti (vedi Ritratto).
Ridipintura: Dipingere su un precedente strato pittorico a distanza di tempo.
Ritratto: Opera d’arte in cui una persona è rappresentata.
Simbolo: Elemento che rimanda a un significato non immediatamente percepibile (es. il leone è simbolo della forza; la croce è simbolo del Cristianesimo; vedi Iconologia).
Stile: Insieme dei caratteri specifici che contraddistinguono un’opera d’arte e che permettono di indentificare l’ipotetico autore o la scuola pittorica di provenienza.
Storia dell’arte: Disciplina scientifica che si occupa di studiare le espressioni artistiche prodotte dall’uomo nel corso della sua storia, intese come testimonianze che hanno valore di civiltà e di progresso.
Tela: Supporto tessile per dipingere.

San Gennaro davanti al Golfo di Napoli

Il dipinto, di devozione tipicamente privata, raffigura il principale patrono di Napoli, san Gennaro, dinanzi al golfo partenopeo col Vesuvio in eruzione. Il martire è ritratto nelle sue vesti di Vescovo di Benevento, con tunica, piviale, mitria e pastorale; con la mano sinistra regge il Libro dei Vangeli, su cui sono appoggiate le due ampolle contenenti il suo presunto sangue, raccolto da una pia donna subito dopo il martirio e custodite nel Duomo di Napoli, mentre con la destra benedice. Appartenuto molto probabilmente al Vescovo di Ostuni Francesco Antonio Scoppa (1747-1782), legato affettivamente alla città di Napoli dove morì il 25 febbraio del 1782 e dove venne sepolto, o ancor più a Giovanni Battista Brancaccio (1792-1794), originario di Torre del Greco e nominato Vescovo di Ostuni su richiesta del re di Napoli Ferdinando, il dipinto sembra documentare la terribile eruzione del Vesuvio del 1779 (3-15 agosto), tra le più devastanti di cui si abbia memoria, con ceneri vulcaniche sospinte dai venti verso est, fino ad arrivare in Puglia. All’intercessione del santo i fedeli attribuirono il termine dell’eruzione, documentata da numerosi dipinti. Nel 1850 si registra la sua presenza in Cattedrale.

Sant’Andrea che presenta un canonico alla Vergine

Davanti a un suggestivo scorcio cinquecentesco della città di Ostuni (uno dei più belli che si conservano) avviene la presentazione da parte dell’apostolo Andrea, riconoscibile dalla sua classica croce del martirio con i bracci in diagonale, di un canonico ostunese alla Santa Vergine. La composizione è costruita dall’anonimo artista con grande abilità prospettica e perizia tecnica. La scena si compone di tre distinte sezioni: due terrene e una ultraterrena. Su di un raffinato pavimento a losanghe, dove è collocata una pedana ricoperta da un drappo di velluto verde, sostano sant’Andrea e il canonico, che indossa colletto, mozzetta (mantellina chiusa al petto da bottoni) filettata in rosso e cotta (tunica bianca orlata e lunga fino al ginocchio) ed è genuflesso in preghiera con sguardo rivolto in alto. Nella parte mediana trovano posto i tre colli dove sorge Ostuni, di cui si distinguono cinta muraria, porte principali, abitazioni e Cattedrale. In alto, la Vergine è seduta sopra le nuvole con in grembo il Bambino nudo che benedice il canonico; tutt’intorno figurano angeli festanti. Enza Aurisicchio, attraverso ricerche d’archivio, ha identificato il religioso in Mariano Protontino (+ post 1558), membro del Capitolo della Cattedrale ostunese con la dignità di Cantore. Collocato in prossimità della Sacrestia della vecchia Cattedrale, il dipinto è stato conservato nel Cappellone dell’Immacolata prima di pervenire nel Museo Diocesano.

San Girolamo penitente dinanzi a papa Sisto V
San Girolamo, raffigurato secondo la tradizione in età avanzata, seminudo e con una pietra in mano con cui si percuote il petto, è inginocchiato dinanzi a un papa con aureola, seduto in posizione sopraelevata su di un ricco trono e con i due tipici attributi pontificali: la tiara (copricapo papale, in latino detto «triregnum» per via delle tre corone sovrapposte, indossato durante la cerimonia di incoronazione fino al Novecento) e le chiavi del Paradiso (d’oro per aprire e d’argento per chiudere), che indicano il legame di successione diretta con l’apostolo Pietro. Nell’angolo in alto a sinistra Dio Padre, circondato da angeli, osserva la scena. Il dipinto, ritagliato da una composizione più grande (come si deduce dalla presenza della mano di un misterioso personaggio sulla destra), è molto complesso sul piano del significato. L’interpretazione più idonea sembra essere quella che identifica il pontefice con Sisto V (1521-1590), creato cardinale con il titolo di «San Girolamo degli Schiavoni». A riprova di questa tesi, raffigurazioni del leone presente nello stemma di Sisto V si riscontrano sul piviale papale e la postura dell’effigiato ripropone quella della statua in bronzo di Sisto V, che fino al 1798 era esposta – prima di essere distrutta – all’interno del Palazzo dei Conservatori in piazza del Campidoglio a Roma. Ulteriore ipotesi è che san Girolamo sia inginocchiato dinanzi a papa Damaso (305-384), di cui fu segretario e che la tradizione vuole che lo abbia creato cardinale. Il trono e la figura del papa presentano evidenti ridipinture postume. Il dipinto proviene dal Monastero delle Benedettine di Ostuni.

San Giuseppe col Bambino

San Giuseppe col Bambino Gesù in braccio è un classico della devozione privata. Giuseppe, ritratto in età avanzata, offre alla venerazione dei fedeli un paffuto Bambino, sistemato su di un cuscino appoggiato su un basamento. Il piccolo Gesù è descritto dall’artista con grande naturalezza nella sua nudità, come rivelano gli occhi vividi, la carnagione luminosa e la posa rilassata con i piedi incrociati. La sua mano destra è avvinta a un bastone, che in basso è sostenuto da Giuseppe a simboleggiare il forte legame spirituale e affettivo tra i due; si tratta della verga fiorita, tipico attributo iconografico del santo che rappresenta l’elezione divina nei suoi confronti quale padre putativo del Salvatore: un ramo secco che germina e fiorisce grazie all’azione dello Spirito Santo. Il dipinto per un periodo è stato conservato in Cattedrale.

Ritratto dell’Arcidiacono Pietro Aurisicchio

Dalla Collezione Capitolare della Concattedrale proviene il ritratto di Pietro Aurisicchio (1811-1888), arcidiacono dal 1868 all’anno della morte, realizzato nel 1874 dal celebre pittore ostunese Luigi Oronzo Pappadà (1849-1949). L’Arcidiacono, con indosso cotta, mozzetta con code di ermellino e tricorno nero (cappello a tre punte tipico degli ecclesiastici), è ritratto all’interno di un immaginario studio, con una colonna scanalata sullo sfondo e una finestra aperta su un paesaggio collinare, mentre è in posa con un libro nella mano destra e un paio di occhiali nella sinistra. L’artista ha inteso conferire all’effigiato grande dignità nel portamento e prestigio culturale e sociale, come si evince anche dalla presenza dello stemma dinastico della famiglia Aurisicchio, con due leoni rampanti affrontati dinanzi al pozzo di una cisterna. L’attenzione per la resa naturalistica dei lineamenti e per la descrizione dei particolari, come gli anelli, i bottoni della mozzetta o le code di ermellino bianche e nere, fanno di questo dipinto una delle più riuscite composizioni del Pappadà.

San Biagio o San Gregorio Nazianzeno

Ignoto scultore meridionale del XIX secolo. Scultura in legno policromo cm 82 x 42 x 30. Provenienza: Ostuni, Basilica Concattedrale (deposito).

Annunciazione con sant’Antonio e offerente
L’arcangelo Gabriele, con un giglio bianco in mano (simbolo di purezza), sopraggiunge dall’alto per portare alla Vergine Maria l’annuncio della nascita del Salvatore; nel saluto dell’angelo e nel gesto pudico e devoto di Maria, cielo e terra, luce e tenebre, si incontrano. La Vergine era intenta a leggere, come si ricava dal libro aperto (simbolo teologico delle Sacre Scritture che si compiono col suo «sì») posato sul tavolo, coperto da una tovaglia in velluto verde. In alto, Dio Padre soprintende alla scena, mentre lo Spirito Santo, sotto forma di una bianca colomba, scende su Maria. In basso, sant’Antonio di Padova, appartenente all’ordine dei frati minori, presenta alla Santa Vergine una figura maschile, da identificare col presunto committente del dipinto; si tratta di un religioso di nobili origini, come dimostra il suo stemma, con banda rossa su fondo blu, visibile in basso a destra. L’artista, allo scopo di rendere riconoscibile l’effigiato, non si è fatto scrupoli a caratterizzare grossolanamente tutti gli altri sacri personaggi. Enza Aurisicchio, attraverso ricerche d’archivio, ha identificato il religioso in Luca de Benedictis (1618-1694), arciprete della Cattedrale ostunese dal 1649 al 1692. Per la fattura semplice e ingenua, l’opera è da riferire a un’area di produzione strettamente locale. Fino all’Ottocento è stato esposto nella Cappella dell’Annunciata della Cattedrale di Ostuni (la prima entrando a destra).

San Francesco ottiene l’indulgenza della Porziuncola

Il dipinto raffigura la prodigiosa visione che Francesco, in una notte del 1216, ebbe all’interno dell’Oratorio della Porziuncola. Sopra l’altare gli apparvero, tra una moltitudine di angeli festanti, Cristo e la Santa Vergine, che gli chiesero di esprimere un desiderio per la salvezza degli uomini; il santo chiese e ottenne l’indulgenza conosciuta col nome di «Perdono di Assisi», grazie alla quale chiunque visita la Porziuncola, pentito e confessato, riceve la piena remissione della pena per i peccati. San Francesco è mostrato con le braccia spalancate in segno di offerta, mentre Gesù Cristo benedice e approva la richiesta concedendo, per mezzo dell’angelo in basso a destra, l’«indulgenza plenaria». Per le affinità stilistiche e compositive dell’opera con la tela, conservata nella chiesa di San Leonardo a Mesagne, raffigurante i Dolenti ai piedi della croce, l’anonimo autore è stato definito nel 1998 da Massimo Guastella «Maestro dei dolenti di Mesagne».

Autore di testi e didascalie Dr. Teodoro De Giorgio – Storico dell’arte e curatore scientifico del Museo

Museo Diocesano di Ostuni 1^ sezione – Fondo archeologico capitolare 
Museo Diocesano di Ostuni 2^ sezione – Paramenti e argenti sacri 
Museo Diocesano di Ostuni 3^ Sezione – Crocifisso anatomico, Giardino dei Vescovi e Cortile
Museo Diocesano di Ostuni 4^ Sezione – La Pinacoteca
Museo Diocesano di Ostuni 5^ sezione – La statua ‘da vestire’ della Madonna del Rosario
Museo Diocesano di Ostuni 6^ Sezione – La memoria di Ostuni. Libri ed ex voto

Si ringrazia l’amico Mario Carlucci per la collaborazione

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